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Talento? No, grazie

Talento? No, grazie



Come buona parte degli addetti alle risorse umane che lavorano come recruiter, passo molto del mio tempo lavorativo su Linkedin, il social professionale di riferimento per gli addetti del settore. Mi piace avere dei collegamenti che offrono degli spunti di riflessione interessanti ed è per questo che mi sono imbattuta casualmente nel post di Jasmine Cappella, HR Specialist.

Il suo post inizia così:

“𝐌𝐚 #𝐭𝐚𝐥𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐝𝐞 𝐜𝐡𝐞
𝐃𝐢 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐚𝐭𝐭𝐢𝐧𝐚 𝐢𝐧 𝐜𝐮𝐢 𝐚𝐯𝐞𝐯𝐨 𝐦𝐚𝐥 𝐝𝐢 𝐭𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐞𝐝 𝐡𝐨 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐢𝐳𝐳𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐧𝐨𝐧 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐮𝐧 𝐭𝐚𝐥𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐞 𝐯𝐢𝐯𝐞𝐫𝐞 𝐛𝐞𝐧𝐞 𝐥𝐨 𝐬𝐭𝐞𝐬𝐬𝐨.”

Apprezzo sempre della buona ironia e l’incipit del post mi è piaciuto molto. Proseguendo con la lettura ho avuto  modo di constatare che io e Jasmine abbiamo la stessa visione del talento e da quel momento è iniziato un flusso libero di considerazioni che vorrei condividere anche con voi lettori.

Sbirciando su internet e consultando i manuali, le definizioni che vengono date alla parola talento sono le più svariate. Per alcuni è “una dote innata” per altri invece è un dono ma anche, nell’accezione moderna, viene considerata come la capacità di “assumersi anche il rischio di emergere, coinvolgere altre persone nei suoi progetti ed esplorare nuove strade”.

Dal mio punto di vista, il talento è un mix tra le definizioni che vi ho proposto. Da una parte può essere vero che è una dote innata, ma se non allenata rimane tale? Per esempio, se Celine Dion non avesse mai riconosciuto la sua estrema abilità nel canto, non l’avesse allenata, non avesse studiato l’inglese fino a farsi conoscere a livello internazionale, oggi la riconosceremo come talento? Forse no. Ma vi dirò di più. Tutti gli altri cantanti che non sono conosciuti come Celine Dion e che non sono comunemente definiti  “talenti”, sono meno piacevoli da ascoltare?

Molti di voi forse risponderanno di no a questa mia domanda provocatoria. Molti artisti semplicemente faticano ad emergere perché il cosiddetto “talento” è il risultato sì delle capacità, ma anche dell’opportunità. I Maneskin erano eccellenti artisti di strada fino a che non hanno colto l’occasione giusta al momento giusto. Ebbene si, anche la fortuna ha un ruolo chiave.

La parola talento è una parola forte, che induce a dividere le persone in eccellenti e mediocri. Una parola di impatto ma profondamente ingiusta e discriminatoria.

Non è poi così fondamentale essere dei talenti per essere riconosciuti come competenti/professionisti/capaci.

Facendo poi un discorso più “aziendalista”, quanto costa non solo in termini economici ma anche di energia e tempo gestire un “talento”? Tanto! E siamo sicuri che tutte le aziende lo vogliono/possono? La cosiddetta eccellenza va nutrita, curata, alimentata e non tutti hanno gli strumenti adatti per poterlo fare. Concretamente, citando Jasmine:

Il talento va gestito. Azienda X di Fiano Romano (posto a caso) che cerchi il genio: quanto lo paghi? Come lo sviluppi? Come lo valorizzi, come lo fai crescere, Come gli garantisci delle prospettive? Come lo mantieni ingaggiato, motivato, come lo invogli ad andare al lavoro col sorriso? Perché imbarcare i talenti (ma in realtà tutti quanti) è una responsabilità, non basta vincolarli con un contratto”.

Questa rincorsa ad essere talenti a tutti i costi dovrebbe subire una decelerazione.

A tutti voi candidati vi suggerisco questo: siate semplicemente la versione migliore di voi stessi, impegnatevi al massimo ma senza necessariamente puntare a un fantomatico standard stereotipato da raggiungere assolutamente.


Michela Cremona

HR Recruiter 

 

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