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Neurodiversità in azienda: oltre l’inclusione, verso la valorizzazione

Neurodiversità in azienda: oltre l’inclusione, verso la valorizzazione



Cos’è la neurodiversità?

Il mese scorso abbiamo parlato di DEI (Non sai cosa sia? Recupera subito l’articolo!). Tuttavia, quando si parla di diversità e inclusione, il tema risulta vasto, oltre che “caldo”… Abbiamo deciso di approcciarvi approfondendone una declinazione, quella della Neurodiversità.
La neurodiversità è un termine che riconosce le differenze neurologiche — come autismo, ADHD, dislessia, disprassia — non come “patologie” da correggere, ma come varianti naturali del cervello umano.
Le persone neurodivergenti possono portare punti di vista, competenze e creatività straordinarie, spesso inascoltate in contesti di lavoro standardizzati.

Perché è importante per le aziende?

La neurodiversità esiste già in azienda, anche se spesso non viene riconosciuta. Ignorarla significa rischiare di escludere, anche involontariamente, persone competenti, solo perché non si adattano a un modello di lavoro rigido o pensato per un profilo “standard”.
Valorizzarla, invece, significa fare spazio a competenze reali: attenzione al dettaglio, pensiero sistemico, creatività non convenzionale. Non si tratta di “fare inclusione” per principio, ma di costruire squadre più efficaci, dove le differenze cognitive diventano risorsa.

Alcune aziende lo hanno già capito, sperimentando modelli di selezione, formazione e lavoro più accessibili. I risultati? Meno turnover, maggiore engagement, e in molti casi un incremento di performance in ruoli analitici o creativi.

L’obiettivo non è “integrare chi è diverso” nel sistema esistente, ma ripensare il sistema perché sia più equo per tutti.
Valorizzare la neurodiversità significa capire che le differenze cognitive sono un punto di forza collettivo. Serve un cambio culturale, non solo operativo.

Le barriere invisibili che vanno evitate

Per valorizzare, e non solo includere, persone neuro divergenti, è opportuno innanzitutto iniziare a notare le cosiddette “barriere invisibili”, cioè tutti quegli ostacoli apparentemente innocui che possono invece essere motivo di esclusione.

Molti ambienti di lavoro non sono progettati per menti atipiche. Alcuni esempi:

  • Open space rumorosi e distrattivi per chi ha ADHD o ipersensibilità sensoriale
  • Colloqui basati su “soft skills” di comunicazione che penalizzano candidati autistici
  • Eccessivo multitasking o task switching per chi fatica nella gestione esecutiva
  • Procedure scritte complesse e non inclusive per chi ha dislessia o discalculia

Come strutturare ambienti e processi più compatibili

Creare ambienti e processi lavorativi adatti a persone neurodivergenti non significa stravolgere l’organizzazione, ma ripensare alcune pratiche standard che spesso danno per scontato un solo modo di pensare, agire e comunicare. Ti forniamo qualche consiglio pratico da attuare all’interno della tua Azienda!

Spazi di lavoro flessibili e regolabili

Gli open space favoriscono la socialità, ma per alcune persone con ADHD, autismo o ipersensibilità sensoriale possono essere un incubo: luci forti, rumori improvvisi, interruzioni continue. Cosa fare?

  • Zone tranquille, cuffie antirumore, illuminazione regolabile.
  • Possibilità di lavorare da remoto o in ambienti controllati
Colloqui e selezione neuroinclusivi

Molti processi di selezione mettono in difficoltà chi ha un profilo neurodivergente: il colloquio orale è spesso l’unica modalità di valutazione, e premia chi sa gestire bene lo small talk, non necessariamente chi è più competente. Cosa fare?

  • Offrire alternative al colloquio orale (es. task pratici, test scritti)
  • Evitare domande vaghe o troppo sociali (“Parlami di te”, “Cosa faresti in un team conflittuale?”)
  • Concedere tempo per rispondere e anticipare le fasi del processo
Gestione e comunicazione chiara

Chi ha ADHD, dislessia o autismo può avere difficoltà nel gestire informazioni vaghe, multitasking o cambiamenti non annunciati. Serve chiarezza e struttura, anche nei piccoli gesti quotidiani. Cosa fare?

  • Istruzioni scritte, concise, strutturate
  • Dare obiettivi concreti e scadenze definite
  • Feedback frequente ma rispettoso (niente correzioni “a caldo” davanti agli altri)
Formazione del management

Il problema non è solo organizzativo, ma anche culturale. I manager non devono diventare esperti di neurodivergenza, ma devono sapere come riconoscerla e come non ostacolarla.

  • Educare i team leader su cos’è la neurodivergenza
  • Offrire strumenti per la leadership adattiva
  • Introdurre un linguaggio inclusivo, evitando pregiudizi o infantilizzazioni
Politiche di disclosure sicure

Molti professionisti neurodivergenti non si sentono sicuri nel comunicare la propria condizione. Questo li porta spesso a “mascherare” (camuffare comportamenti o difficoltà) a discapito del benessere.

Nessuno è obbligato a “rivelare” la propria neurodivergenza ma è fondamentale creare un clima dove chi vuole farlo si senta tutelato, non giudicato.

Come farlo? Ad esempio inserendo tutele specifiche in policy DEI, regolamenti interni, formazione HR.


In conclusione, non serve “semplificare tutto”, ma diversificare gli strumenti: ciò che aiuta una persona neurodivergente spesso migliora l’esperienza lavorativa per tutti.

Il punto non è “fare un favore”, ma dare a ciascuno le condizioni per lavorare al meglio, con equità e rispetto delle differenze.


Marta Massimi

Talent Acquisition Manager

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